di Giuseppe Stefano Proiti
Quello di cui abbiamo bisogno non è soltanto un “nazionalismo economico”, ma un “nazionalismo” anche terminologico, etimologico, gnoseologico. Abbiamo proprio bisogno di un grande ritorno alla lingua italiana. Quest’ultima, oggi, a seguito di un’imperante globalizzazione – e come si sa, nel globo comanda l’inglese – ha subito delle forti contrazioni e contaminazioni. Ecco che si assiste ad un imbastardimento sempre più crescente della nostra lingua, con neologismi – che in virtù di un insignificante dominio della moda odierna – entrano prepotentemente a far parte del “dizionario” italiano. Ma a quale diritto? Con quale radice storica? Con quale valore? Beh, la risposta sarebbe: il “valore assoluto” della decadenza e della vacuità della “modernità”. La parola “selfie”, è la più antipatica ed emblematica, la più “famosa” del momento. E allora l’italiano colto, razionale, dotato di coscienza critica, si chiede: se esiste il sostantivo maschile “autoscatto” per definire l’azione di chi si scatta una foto, perché utilizzare questa mostruosa espressione “selfie”?
Ma l’elenco dei termini inappropriati di “importazione”, sconfina in ogni sostrato sociale, in ogni campo linguistico, persino nel mondo della politica, che stando al rigore del termine, dovrebbe esigere per sua natura un linguaggio colto e aulico.
Invece, anche qui, compaiono sempre più spesso – nei testi delle leggi – anglicismi come “Jobs act”, “Step Child Adoption” ecc.
Ha commentato così qualche mese addietro, il linguista e presidente onorario dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini: “La politica dà un pessimo esempio, per rivestire cariche importanti del nostro Paese bisogna avere una cultura abbastanza sicura e saper usare una lingua di prestigio“.
Tutti questi problemi che intaccano il prestigio della lingua più bella del mondo, Sabatini li ha lucidamente disquisiti nella sua recente creazione letteraria “Lezione di italiano” (Mondadori). Il dialogo con il lettore è sulla centralità della lingua italiana e sulla necessità di innamorarsi nuovamente della bellezza di essa.
Così, è venuta un po’ a tutti i siciliani, la voglia di tornare a “lezione di italiano”, questa volta non tra i banchi di scuola, ma nei locali dell’Arcivescovado di Messina (via 1° Settembre 117), dove ha sede la Biblioteca Regionale Universitaria, con due incontri di studio – a partire da oggi 16 marzo, ore 17.00 – a cura della professoressa e giornalista Patrizia Danzè e della direttrice della medesima Biblioteca Maria Teresa Rodriquez, in collaborazione con il “DiCAM”, Dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università degli Studi di Messina.
Un’importante occasione, per veder conversare assieme, due donne della cultura in Sicilia con due uomini sapienti come il professore Francesco Sabatini ed Edoardo Boncinelli (biologo, genetista e umanista). Con il libro “L’incanto e il disinganno. Leopardi, poeta, filosofo, scienziato” (Guanda), scritto insieme al filosofo Giulio Giorello, l’autore Boncinelli rilegge la vita e le opere di Giacomo Leopardi da una prospettiva anticonformista, scoprendo un filosofo appassionato sin da ragazzo alla conoscenza.
Insomma, sono tutti tentativi di dimostrare l’estremo valore della lingua italiana, da preservare attraverso la sua storia e il suo corretto uso, ma anche la sua originalità attraverso la “sorpresa” della parola leopardiana.
Venerdì 17 marzo 2017, ore 10.00, si terrà il secondo incontro, nell’Aula Magna del Polo Universitario dell’Annunziata. I due insigni studiosi saranno stavolta introdotti dal professore Mario Bolognari, direttore del “DiCAM”, che interloquiranno con i professori Carmelo Scavuzzo, docente di Storia della Lingua Italiana, e Giuseppe Gembillo, docente di Storia della Filosofia, su “La sterzata di Manzoni” (Sabatini) e su “Leopardi, sofferta lucidità” (Boncinelli).